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PROGETTO GEA / EVOLUZIONE UMANA / CULTURA / La cultura incide sulla biologia
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  La cultura incide sulla biologia  
 
foto di Ben MacLaren – donna egiziana foto di Ben MacLaren – ragazza egiziana

Nell’arco dei millenni che ci separano dall’invenzione dell’agricoltura, i cambiamenti culturali introdotti dall’uomo cominciano a incidere sulla nostra stessa biologia.

Il colore della pelle è un fattore che varia per via biologica, in funzione dell’esposizione al sole: è una forma di adattamento al clima, che esercita una forte pressione selettiva. Può variare con grande rapidità, rispetto ad altri aspetti della nostra biologia: poche migliaia di anni possono bastare perché una popolazione cambi colore di pelle. Se per esempio si insedia nella fascia equatoriale, svilupperà una pelle di colore molto scuro, che protegge efficacemente dalle radiazioni solari, per cui la selezione naturale favorirà le mutazioni che tendono a scurire la pelle.

pigmea foto di Ben MacLaren – ragazzo egiziano foto di Ben MacLaren – ragazzo europeo

In origine, la pelle dei cacciatori africani doveva essere di colore bruno: questo almeno è il colore dei loro discendenti odierni, khoisan e pigmei. Si pensa che la pelle dei popoli che svilupparono l’agricoltura in Medio Oriente fosse invece color caffelatte, un po’ come quella dei libanesi di oggi. Ma quando gli agricoltori raggiunsero le regioni fredde e meno irradiate dal sole dell’Europa settentrionale, questo colore di pelle non fu più un vantaggio.

donna bianca donna nera

La vitamina D è indispensabile per la formazione dello scheletro e in generale per il continuo rinnovamento delle ossa. Chi da bambino non riesce a procurarsene abbastanza rimane affetto da rachitismo. La si trova nella carne e nel pesce, mentre non la si trova nei cereali, la fonte principale di nutrimento degli agricoltori. Nel sangue è però presente un precursore della vitamina D, che si trasforma in vitamina D sotto l’azione dei raggi solari negli strati profondi della pelle. Una pelle molto chiara permette alla radiazione solare di penetrare fino a una certa profondità sotto la superficie, e questo consente all’organismo di sintetizzare vitamina D. È la ragione per cui, almeno in Europa e Nordamerica, si raccomanda sempre che bambini e ragazzi passino parecchio tempo all’aperto, con la pelle esposta alla luce. Altri popoli, per esempio in Cina e in Etiopia, si preoccupano di non lasciare i bambini piccoli esposti al sole, per paura delle scottature. Ne deriva un po’ di rachitismo.

  fonte: www.asianart.com
scozzese tibetana
scozzese tibetana

Nel caso dei contadini che raggiunsero il Nordeuropa, fu un fattore culturale (il tipo di alimentazione introdotto dall’agricoltura), a favorire la selezione di un certo tipo genetico. Oggi chi vive all’estremo nord d’Europa ha una pelle bianchissima (e vediamo il colore della pelle mutare impercettibilmente ma senza interruzione, per gradi, man mano che ci si avvicina all’equatore).

Le popolazioni che hanno colonizzato l’estremo nord del mondo, le regioni intorno al circolo polare artico, come gli eschimesi, hanno invece mantenuto un colore di pelle alquanto scuro, semplicemente perché sono rimasti cacciatori-raccoglitori (la coltivazione è impossibile in terre dove il suolo rimane gelato per la maggior parte dell’anno): la loro alimentazione si è sempre basata su pesce e carne, entrambi molto ricchi di vitamina D, per cui non hanno mai subito pressioni selettive che abbiano favorito cambiamenti nel colore della loro pelle.

fonte: www.arch.mcgill.ca
lapponi
lapponi

Altre mutazioni che hanno avuto fortuna grazie all’introduzione dell’agricoltura e al mutato stile alimentare umano sono quelle che consentono di utilizzare il lattosio anche da adulti.

Il lattosio è lo zucchero contenuto nel latte. Normalmente, ciascuno di noi nasce con la capacità di produrre l’enzima che utilizza il lattosio, perché il primo nutrimento del bambino è il latte materno. Ma dopo lo svezzamento non c’è più bisogno di saper digerire il lattosio, per cui all’età di tre o quattro anni questa capacità viene perduta. Lo stesso avviene in tutti gli altri mammiferi. L’organismo vivente è economo nelle sue scelte, per cui non produce un enzima o altre sostanze che non siano più necessarie.

Gli allevatori di animali si trovarono a disposizione una fonte di cibo, il latte, che grazie agli animali domestici restava ancora disponibile dopo lo svezzamento, a differenza di quanto avveniva ai tempi in cui si viveva di caccia e di raccolta. È così che, tra i popoli che praticano il consumo di latte da adulti, la selezione naturale ha favorito le mutazioni che permettono di continuare a produrre l’enzima che utilizza il lattosio.

fonte: www.ushuaia.com
bimba nigeriana

A distanza di alcuni millenni da quando queste mutazioni si sono prodotte, troviamo due gruppi di popoli di pastori in cui si sono affermate estesamente: gli europei, con percentuali che vanno dal 100% quasi della Scandinavia al 20% dell’Italia meridionale, e alcune popolazioni di pastori nordafricani. Il resto del mondo non è in grado di digerire il latte dopo i primi anni di vita (con l’eccezione, naturalmente, delle popolazioni di origine europea sparse un po’ ovunque sul pianeta, in particolare nelle Americhe).

Un caso simile è quello dell’intolleranza al glutine, una miscela di proteine contenuta nei cereali. Con l’agricoltura, i cereali sono progressivamente divenuti la base dell’alimentazione umana. Erano presenti nella dieta anche nell’antichità precedente, ma ne formavano appena una frazione. La capacità di digerire il glutine, che è una buona fonte di energia e di materiale per la costruzione dei tessuti, è divenuta pressoché universale ovunque con lo sviluppo dell’agricoltura, ma ancor oggi numerosi individui non sono in grado di digerire pane o pasta o altri alimenti contenenti glutine, tanto è vero che i supermercati offrono alternative (cibi senza glutine) a chi non è in grado di utilizzarlo.

frumento

Chi soffre di intolleranza al glutine ha mantenuto geni che erano la norma nel lontano passato. In tempi più recenti, la grande disponibilità di cibi contenenti glutine, portata dall’agricoltura, ha contribuito a modificare l’assetto genetico dell’umanità.

Altri adattamenti biologici sono un prodotto indiretto del nuovo stile di vita. La convivenza con animali domestici porta agli esseri umani tutte le malattie causate da parassiti di questi animali, cioè tutte le principali malattie infettive, che faranno strage per millenni negli insediamenti umani. Il passaggio a una vita stanziale e l’accumulo di grandi quantità di granaglie beneficano direttamente anche i topi, che pure prosperano negli insediamenti umani e possono portare i bacilli di malattie terribili, come la peste.

Pieter Bruegel, Trionfo della Morte
Pieter Bruegel il Vecchio, Il trionfo della Morte (1562)

L’esposizione a tutte queste malattie favorisce, nell’arco dei millenni, la selezione dei tipi resistenti. Quando un’epidemia colpisce può eliminare gran parte della popolazione, fino al 70% nelle peggiori epidemie di peste, ma una parte della popolazione comunque sopravvive, grazie anche alla grande varietà dei tipi genetici, Nel tempo si diffonde così una certa resistenza a queste malattie nella popolazione. Ne faranno le spese gli amerindi ed ogni aborigeno, quando la navigazione oceanica porterà gli europei alle Americhe e agli altri continenti: i germi portati dagli europei, dal morbillo al vaiolo, dal colera all’influenza, stermineranno quelle popolazioni, che, come in una guerra batteriologica ante litteram, saranno liquidate da batteri e virus prima di essere conquistate con le armi.

Si calcola che nei cento anni seguiti alla "scoperta dell’America" sia scomparso circa l’85% della popolazione del Centro e Sudamerica, una popolazione stimata fra i 40 e i 60 milioni di individui, prevalentemente a seguito delle malattie introdotte dai conquistatori.